Strati di umanità sull’antica scogliera (VIDEO)
Le nuvole hanno smesso di minacciare e la giornata sembra tenere.
Le grandi aperture dei covoli di San Donato, sono occhi neri sulla roccia bianca, che fissano la pianura. Bucano l’ultimo tratto della preistorica scogliera che affiora, verticale, sul versante orientale dei Colli Berici, la parte più alta di queste colline.
Ai piedi degli anfratti le squadrature della roccia e le profonde e larghe incisioni, segnano dove un tempo poggiavano le fondamenta di un piccolo monastero di benedettine. Oggi un fantasma. Cerco di immaginare l’abside dell’antica chiesa che faceva tutt’uno con il covolo e le monache intente nelle lodi mattutine, nei riti immersi nei profumi sacri. E tutt’intorno il silenzio di orti e giardini ad aspettare la cura di quelle mani laboriose che adesso stringevano i rosari.
Centinaia d’anni di preghiere, penso. Forse questi luoghi ne sono rimasti permeati. E se bastasse spostare un sasso per far uscire un’antica benedizione?
Sotto la scogliera c’è oggi una chiesetta costruita due secoli fa. Lì dentro sono risuonate le urla dei cuochi militari del Regno, dopo Caporetto, che dietro tra gli sbuffi dei pentoloni, preparavano il rancio per i fanti accampati ovunque sul queste colline: nei prati, nei cortili e nei granai. In attesa di partire per l’inferno del fronte sull’Altopiano.
Seguo il sentiero che girando attorno porta sopra alla scogliera, propri sopra al tetto della chiesetta: il camminamento che dopo un cambio di pendenza diventa roccioso. Dal terriccio affiora pietra calcarea bianca, bucata come teschi: trenta milioni di anni fa erano coralli.
Basta cercare un po’ con lo sguardo per cogliere sul sasso le linee fossili di un’alga corallina.
Noto tre ragazzi seduti, avranno vent’anni. Tatuaggi, facce allegre, ciuffi sulla fronte, atteggiamenti rap. Parlottano, ridono. Si spartiscono una birra. Probabilmente non sanno che sono seduti sul tetto naturale di quelle case rupestri che nell’ottocento furono la casa di qualche famiglia. Dopo che il convento cadde in rovina.
Pastori e piccoli agricoltori pascolavano le loro bestie sui prati poco più su.
La schiena della scogliera è disseminata di erbe selvatiche che odorano: erba menta, erba limone, timo. Una concentrazione di fioriture ondeggiano mentre bombi, farfalle e altri insetti se ne rallegrano. A marzo si può trovare la fioritura violacea dell’Orchidea di Robert, rara specie selvatica.
È un giardino botanico selvatico.
Raggiungo il punto più alto e guardo verso la pianura.
Il panorama spazia ampissimo verso la laguna di Venezia. Immagino un gigantesco mare preistorico che si infrange sulla scogliera e dalle cui acque affiorano i frontali colli Euganei.
Impugno la macchina fotografica e senza farmi vedere cerco di portarmi via qualcosa di quei ragazzi: inquadro un gesto, un’occhiata, un sorriso. Sono la voglia e bellezza di stare in compagnia.
Seguo il movimenti di uno che appoggia la bottiglietta su un sasso…
…dove in settembre profumano le erbe
dove sono stati scarponi di soldati del Regno
dove hanno brucato le capre
dove sono stati sandali di monache
dove c’è stata una foresta
dove c’è stata terra
dove c’è stato il mare
dove c’erano i coralli
Il suono di un aereo che plana verso Venezia allarga il senso di altitudine, i tocchi di un campanile sulla pianura quello dell’orizzonte. Guardo a sud e immagino l’Italia distendersi lunghissima.
Scatto una foto ai ragazzi che brindano sorridenti. Sono giovani e sono belli. Viva loro.
Allontanandomi do un ultimo sguardo: vedo un ragazzo che sposta un sasso, lo fissa, lo fa vedere agli altri.
Ha trovato un fossile? Ha liberato una preghiera?
Gianluca Sgreva